L’IA sta rivoluzionando anche l’agricoltura

L’IA sta rivoluzionando anche l’agricoltura

Tutti noi, o quasi, abbiamo provato a chiedere almeno una volta qualcosa di stupido all’Intelligenaza Artificiale, magari facendoci qualche risata e incalzando le risposte date da ChatGPT o Gemini, ma l’IA non è solo questo.

In Kenya, ad esempio, l’agricoltura sta vivendo una vera e propria rivoluzione tecnologica. Piccoli agricoltori, come Sammy Selim a Kericho, stanno adottando strumenti basati sull’intelligenza artificiale per migliorare la qualità e la quantità dei loro raccolti.

App come “Virtual Agronomist” offrono consigli personalizzati sulla fertilizzazione, analizzando i dati satellitari per prevedere le proprietà del suolo.

Innovazione questa, particolarmente importante, in un contesto come quello keniota, dove il numero di consulenti agricoli è limitato. L’IA si sta dimostrando un valido supporto per colmare questa lacuna, fornendo agli agricoltori informazioni cruciali per prendere decisioni informate e ottimizzare la produzione.

Foto: The Guardian

Ma l’IA non si limita solo alla fertilizzazione. Ci sono anche app come “PlantVillage” che aiutano gli agricoltori a identificare parassiti e malattie delle piante attraverso il riconoscimento delle immagini, offrendo consigli mirati per il controllo.

Nonostante le grandi promesse dell’IA, alcuni esperti sottolineano l’importanza di non trascurare le conoscenze indigene e le pratiche agricole locali. L’integrazione tra tecnologia e tradizione potrebbe essere la chiave per un’agricoltura sostenibile e di successo in Kenya.

Molti agricoltori stanno già raccogliendo i frutti di questa rivoluzione tecnologica, ad esempio Boniface Nzivo, che utilizza un sistema chiamato “FarmShield” per monitorare le condizioni della sua serra e ottimizzare l’irrigazione, risparmiando tempo e risorse preziose. L’IA si sta rivelando un potente strumento per migliorare la vita degli agricoltori kenioti e contribuire alla crescita del settore agricolo nel paese.

Per maggiori informazioni vi rimandiamo all’articolo completo uscito su The Guardian.

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